Perché Meta si è beccata una multa milionaria in Italia

L’Antitrust italiano multa Meta, la holding di Instagram, Facebook e Whatsapp, con una sanzione da 3,5 milioni di euro per la scarsa trasparenza sull’uso dei dati. Secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), Meta non avrebbe infatti informato con immediatezza gli utenti iscritti a Instagram via web che i loro dati sarebbero stati utilizzati per finalità commerciali (insomma, secondo la vecchia regola che se non stai pagando il prodotto, il prodotto sei tu), non ha gestito con precisione la sospensione degli account dei propri clienti dello stesso social network e di Facebook. L’azienda ha respinto gli addebiti.

Il logo di Meta nel quartier generale di Menlo ParkJUSTIN SULLIVAN/GETTY IMAGES - Fonte: Wired


Il colosso di Menlo Park non avrebbe inoltre indicato le modalità attraverso le quali sospende gli account Facebook, in particolare se lo faccia a seguito di un controllo automatizzato o gestito direttamente dal proprio personale, e non ha fornito agli iscritti sui due social informazione alcuna riguardo alla possibilità di contestare la sospensione del loro account (non è infatti chiaro se essi si possano rivolgere a un organo di risoluzione stragiudiziale delle controversie o a un giudice). La società di Mark Zuckerberg avrebbe infine previsto un termine di 30 giorni per il consumatore per contestare la sospensione, un tempo ritenuto troppo breve. Tutti temi che da qualche mese sono anche oggetto della nuova regolazione europea delle piattaforme, il Digital services act (Dsa).

Queste pratiche sono state riconosciute dall’autorità ingannevoli riguardo alla creazione e alla gestione degli account sui due social network, in quanto in violazione di quanto disposto dagli articoli 20, 21 e 22 del codice del consumo. Già nel corso del procedimento, peraltro, Meta aveva provveduto ad aggiustare il tiro rispetto a quanto le era stato contestato in passato.

I precedenti

Non è la prima volta che la società di Menlo Park riceve una multa dall’Agcom. Nel corso del 2023, per esempio, essa ne ha subita una da 750mila euro a gennaio e una da 5 milioni e 850mila euro a dicembre per aver violato il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo su Facebook e Instagram. Nel dettaglio, nel secondo caso l’autorità aveva accertato l’esistenza di pubblicità e contenuti promozionali su scommesse e altre attività simili che prevedevano vincite in denaro in 18 diversi account (5 su Instagram e 13 su Facebook) e 32 diversi contenuti.

In passato l’Agcm ha compilato una indagine conoscitiva sui big data insieme al Garante per la protezione dei dati e all’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom), nella quale si osserva che “i big data possono consentire alle imprese di ottenere una conoscenza altamente dettagliata dei singoli consumatori, ossia dei loro bisogni e delle loro preferenze. Tale conoscenza può essere utilizzata dalle imprese per realizzare un’elevata personalizzazione dei prodotti e dei servizi offerti, aspetto di particolare rilevanza nella fornitura di servizi quali la pubblicità online e il commercio elettronico. La comunicazione pubblicitaria online si fonda, infatti, sulla capacità delle imprese di offrire agli inserzionisti pubblicitari la possibilità di raggiungere specifici individui, utilizzando nuove modalità negoziali e di allocazione degli spazi che consentono transazioni automatizzate e in tempo reale. Simile è l’utilizzo dei Big Data da parte delle piattaforme che distribuiscono contenuti digitali o di e-commerce, che possono proporre ai propri utenti beni e servizi in linea con le preferenze individuali. Ad esempio, attraverso l’acquisizione dei Big Data personali e relativi alle abitudini del consumatore, alcune piattaforme online implementano tecniche di search discrimination, ossia personalizzano la visualizzazione dei risultati di ricerca online”. E ancora: “L’offerta di servizi altamente personalizzati può avere implicazioni molto diverse in funzione dello specifico settore interessato. Nell’offerta di beni e servizi on line, la disponibilità di dati che consentono una profilazione dettagliata dei singoli consumatori, può rendere possibile una differenziazione per singolo utente dei prezzi di beni e servizi. Per altro verso, nel settore dell’editoria, i Big Data rendono possibile un elevato livello di personalizzazione del consumo di contenuti editoriali. Se, da un lato, ciò consente a ciascun utente di avere agevolmente accesso ai contenuti di maggior interesse, dall’altro lato, intensifica fenomeni di cd. confirmation bias, per cui gli individui tendono a restare nell’ambito delle convinzioni acquisite, ed echo chambers, ovvero di amplificazione dei messaggi, portando ad una polarizzazione delle posizioni, nonché a rischi per pluralismo informativo in ragione del fatto che un dato contenuto e/o prodotto editoriale non viene (tendenzialmente) proposto al di fuori del gruppo di utenti che, secondo il profilo di appartenenza, può a priori ritenersi interessato”.

La replica

Meta ha fatto sapere: “Siamo in disaccordo con la decisione presa dall’Agcm e stiamo valutando le possibili azioni da intraprendere. Già da agosto 2023, abbiamo apportato delle modifiche per gli utenti italiani che indirizzano i temi sollevati dell’Agcm. Abbiamo reso ancora più chiaro il modo in cui utilizziamo i dati per mostrare annunci personalizzati su Instagram e fornito agli utenti informazioni e opzioni aggiuntive per fare ricorso in caso di sospensione dell’account. Accogliamo con favore, invece, il riconoscimento da parte dell’Agcm dell’efficacia delle nostre soluzioni per aiutare le persone a tornare in possesso del proprio account”.

Fonte: Wired

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