La rivoluzione nella lotta al diabete è iniziata cento anni fa, quando è stata scoperta l’insulina, e oggi abbiamo a disposizione diversi sistemi per il controllo della glicemia. Come il pancreas artificiale, gioiello di tecnologia per il monitoraggio della glicemia e per la somministrazione automatica dell’insulina. Ma la rivoluzione nella cura del diabete è lungi dall’essere conclusa, anzi. Di sistemi più precisi e più efficaci c’è ancora bisogno. Ed è pensando a questo che un team della Rice University ha messo a punto una sorta di pancreas artificiale “avanzato”, un sistema impiantabile per la produzione di insulina per il diabete di tipo 1.
(Foto: Jeff Fitlow/Rice University)
Il prototipo – perché di questo si tratta – è un prodotto biotech, frutto degli avanzamenti dell’ingegneria tissutale in 3D, della ricerca in materiali biocompatibili e di quella sulle cellule staminali. Cuore del sistema sono le cellule beta – le cellule del pancreas deputate alla produzione di insulina – ottenute da cellule staminali, calate all’interno di un idrogel stampato in 3D, biocompatibile. Questo idrogel ha una struttura interna porosa, di dimensioni tali da permettere il passaggio dell’insulina ma non delle cellule del sistema immunitario dell’ospite che potrebbero attaccarle. “Dobbiamo posizionare le cellule impiantate in prossimità del flusso sanguigno in modo che le cellule beta possano percepire e rispondere rapidamente ai cambiamenti della glicemia”, ha spiegato Jordan Miller, professore associato di bioingegneria a capo del progetto insieme al professor Omid Veiseh.
Ma non solo. Il punto di forza dell’impianto ideato dai ricercatori è la possibilità di essere vascolarizzato e così di riprodurre più da vicino la struttura di un vero pancreas. “Stiamo utilizzando una combinazione di pre-vascolarizzazione attraverso la stampa 3D e il rimodellamento vascolare mediato dall’ospite per dare a ciascun impianto diverse possibilità di integrazione nell’ospite”, ha affermato Miller. Idealmente la distanza tra vasi e cellule beta non dovrebbe superare 100 micron (1 micron equivale a un milionesimo di metro). Se funzionerà e quanto bene lo farà, saranno i prossimi esperimenti a dirlo. Si comincia con un test di sei mesi su topi diabetici.
Fonte: Wired